Si potrebbe dire che resta ancora da scrivere una storia completa e soddisfacente della lavorazione del vetro in Italia, una storia che chiarisca tutte le oscurità, copra tutti i centri maggiori e minori in cui si svolgeva l’arte della soffiatura del vetro, definisse tutte le diverse tendenze e specialità locali e delineasse i legami commerciali che esistevano con altri paesi. È vero che le origini e lo sviluppo dell’arte della soffiatura del vetro erano principalmente incentrati su Murano, un nome che, a un certo punto, divenne famoso non solo nelle varie regioni della Penisola, ma in tutta Europa, attirando l’attenzione degli esperti di tutto il mondo. Ma è anche certo che le botteghe del vetro esistevano e fiorirono in altri luoghi oltre alla Laguna Veneta. Basterà citare il nome di Altare, un piccolo villaggio della Liguria, quasi sconosciuto eppure fonte di opere d’arte e di artisti che diffondono il gusto italiano ovunque, soprattutto in Francia e nelle Fiandre. Alcuni workshop molto attivi fiorirono anche in molte parti della Toscana, inclusa la stessa Firenze. Per quanto riguarda l’Italia meridionale, sappiamo che gli stabilimenti napoletani ebbero molto successo, soprattutto durante il XVI e il XVII secolo. Nell’Italia settentrionale, ad eccezione della Liguria, si riscontrano segni di attività in Lombardia, in Veneto (a Verona e Padova) e forse altrove.
Purtroppo non esistono prove documentarie e soprattutto materiali precise per testimoniare in modo dettagliato l’attività dei vari centri e quindi consentire di ricostruire con precisione l’intera storia della soffiatura del vetro. Ciò richiede un’attenta ricerca tra gli archivi, insieme a uno studio dei centri di produzione e dei vari documenti scritti, in modo da poter stabilire con maggiore precisione l’origine dei vari pezzi oggi esistenti. Tuttavia, come si evince dalla nota bibliografica che segue, poco tempo fa è stata fatta luce su alcune aree.
Se poi volessimo considerare stili e tecniche, che sono naturalmente di grande importanza, ci troviamo su un terreno molto difficile e incerto. Il problema principale deriva dalla tecnica stessa di lavorazione del vetro, che, per quanto riguarda la produzione italiana, è identica ovunque, rendendo impossibile la differenziazione. La quasi totale assenza di esemplari il cui luogo di origine sia ben consolidato — ad eccezione, ovviamente, di quelli provenienti da Venezia — è un’ulteriore fonte di difficoltà. Un’osservazione simile si potrebbe fare sulla produzione tardo-romana: infatti, sebbene i suoi centri fossero vari e situati in diverse parti dell’Impero, l’affinità di gusto e tecnica rende una classificazione affidabile estremamente difficile, se non impossibile. I frequenti scambi commerciali e la diffusione dei pezzi esportati, a volte grandi distanze dai luoghi di origine, creano ulteriore confusione. È quindi chiaro che scrivere una storia accurata e ben documentata della lavorazione del vetro in Italia attraverso i secoli non è un compito facile allo stato attuale delle nostre conoscenze. Fino a quando le indagini ancora da svolgere non avranno prodotto ulteriori informazioni, dobbiamo limitarci a un’indagine generale, cercando di essere il più precisi e istruttivi possibile.
L’arte della lavorazione del vetro, che da alcuni punti di vista può essere considerata un’industria di carattere utilitaristico, è per altri aspetti una vera arte, nel senso di una creazione spontanea che è scaturita dalla mente umana ed è un prodotto di abilità tecnica, allo stesso modo di un dipinto, una scultura, un edificio o qualsiasi altra opera d’arte. Inoltre, ci sembra che l’arte della lavorazione del vetro presenti sin dalle sue prime fasi notevoli differenze rispetto ad altre forme di industria o artigianato non solo nel suo modo di esprimersi. Sebbene Plinio, storico naturale dell’antichità, abbia cercato di ricostruirlo per noi, la sua storia dell’invenzione accidentale del vetro da parte di mercanti fenici è senza dubbio una finzione poetica: tuttavia, dietro la leggenda deve esserci qualche verità, nel senso che la sabbia dell’antico fiume Belo, in Fenicia, era molto adatto e ricercato per la produzione di vetro, tanto che la Siria ha svolto un ruolo importante nello sviluppo dell’industria vetraria. Sicuramente i mercanti e i marinai fenici erano i principali strumenti di distribuzione lungo le rive del Mediterraneo.
Sappiamo anche che molti dei più antichi esemplari di vetro rinvenuti provenivano dall’Egitto. È ancora possibile studiare questi reperti: sono del tutto inconfondibili, non solo per le loro forme e colori caratteristici, ma anche per la tecnica utilizzata nella loro fabbricazione. Questa tecnica consisteva nel modellare il vetro a caldo con l’aiuto di uno stampo friabile che veniva successivamente distrutto. L’oggetto è stato formato premendo la pasta vetrosa fusa attorno allo stampo. Il solito metodo di decorazione impiegato dagli egiziani era quello di avvolgere fili di vetro di diversi colori attorno all’oggetto mentre ruotava. In questo modo hanno ottenuto le caratteristiche decorazioni a strisce parallele e talvolta ondulate che si possono vedere sugli scrigni cilindrici di profumi (alabastro) o sulle piccole anfore e vasi del tipo oinochoe rinvenuti nelle tombe.
Finora abbiamo parlato solo di articoli realizzati in pasta di vetro pressata o versata in uno stampo. Questo metodo fu ampiamente praticato fino al IV secolo, sebbene risalga alla XVIII dinastia (dal XVI al XIV secolo a.C.): la sua diffusione fu favorita dal commercio tra gli egiziani e le nazioni del Mediterraneo come i Greci e gli Etruschi.
L’arte della lavorazione del vetro come la conosciamo oggi si è concretizzata con l’introduzione di un nuovo attrezzo che ha rivoluzionato la tecnica di produzione: la “canna da soffio”. Con la soffiatura è diventato possibile creare oggetti di una leggerezza e una trasparenza mai visti prima. Si ritiene generalmente che questa scoperta risalga all’inizio dell’era cristiana e si ritiene che il suo luogo di origine sia stata la Siria.